Europeo in una foto: Islanda, batti le mani al ritmo del cuore

È difficile raccontare una storia del genere senza cadere nel banale o, peggio, gonfiare con magniloquente retorica, rendendo complicato ciò che è semplice, immediato, diretto. È difficile mantenere la voce sommessa, senza scomparire, davanti a questo frastuono profondo, ritmato, coinvolgente. È stato senza dubbio uno dei momenti più emozionanti dell'intero Europeo il rito che giocatori e tifosi dell'Islanda insieme compivano alla fine di ogni partita; un rito meglio conosciuto come geyser sound.
Al triplice fischio, infatti, guidati dal capitano Gunnarsson, barbone vichingo e grinta da trascinatore, tutti i componenti della rosa, compreso lo staff tecnico andavano davanti al loro pubblico e con il loro pubblico cominciavano a battere le mani sempre più velocemente. Un pubblico di amici e conoscenti, se è vero che dei poco più di 300.000 abitanti dell'Islanda, in Francia ne erano arrivati circa l'8%. Un pubblico di amici, come ha detto il difensore Arnason: sono arrivato agli ottavi di finale di un Europeo con i miei migliori amici, e se guardo in tribuna, riconosco la metà delle facce. Un grande paesone che abbiamo imparato a conoscere; un paese dove c'è una locomotiva abbandonata, ma non ci sono ferrovie per i treni e dove i cognomi sono tutti uguali, perché per i maschi si aggiunge alla fine lo stesso suffisso, -son; una terra ancestrale, quasi dimenticata e magica, conosciuta fino a ora principalmente per il suo vulcano dal nome impronunciabile, Eyjafjallajokul. Ma l'abbiamo seguita con il fiato sospeso. Dalla prima partita, storica, e il pareggio contro i futuri campioni del Portogallo, alla vittoria in extremis contro l'Austria con il telecronista islandese che ha fatto il giro del mondo per l'emozione, giustificata, di vedere la prima vittoria a un Europeo. E poi l'ottavo di finale, incredibile, forse la migliore prestazione, contro l'Inghilterra battuta sia tatticamente, sia fisicamente; 11 uomini che non hanno mai smesso di correre e inseguire un sogno, fermatosi solo davanti ai padroni di casa della Francia, ma sempre lottando. E sempre alla fine andando sotto la propria curva a intonare il geyser sound. Ci sono sempre piaciute le favole, qualcuno che ci prendesse per mano, ce le raccontasse, ci dicesse che sono possibili, reali, che potremmo essere stupefatti spettatori o, perché no, incantati protagonisti; qualcuno che ci spieghi che quel sussulto che abbiamo sentito dentro forse era perché il battuto di quelle mani sognanti andava allo stesso ritmo del nostro cuore.
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